Viaggio di lavoro: a chi piace veramente?

Il viaggio di lavoro? Piace agli italiani molto di più di quanto potessimo pensare, visto e considerato che la maggior parte di loro non lo percepisce più come una seccatura o una fatica, bensì come una vera e propria occasione di crescita personale e professionale, con la possibilità – magari – di trasformarlo in un viaggio bleisure. A conferma di ciò, una recente analisi condotta da Booking.com Business afferma che il 28% degli italiani accetterebbe uno stipendio più basso in cambio della possibilità di muoversi più spesso per conto della propria azienda.

L’indagine rivela pertanto che il fenomeno del “bleisure” (ovvero l’integrazione del tipico viaggio business per motivi di piacere personale) sembra essere alimentato soprattutto dalle generazioni ormai abituate alla mobilità e dalle più giovani, per le quali il confine che separa il lavoro dal privato è sempre più vario e sottile.

Più nel dettaglio, l’indagine rivela che il 38% dei lavoratori italiani che lo scorso anno ha dovuto viaggiare per motivi professionali, ha scelto di estendere il proprio soggiorno con scopi personali e turistici, mentre il 35% si è detto comunque disponibile ad aumentare il numero di viaggi nel 2017. Ad ogni modo, solamente il 18% ha poi previsto di allungare effettivamente la permanenza nel luogo di destinazione per motivi di piacere. Si tenga comunque conto come la tendenza sia di grande interesse soprattutto se si considera che il 48% dei business traveller cerca di organizzarsi il maggior numero possibile di attività personali e di piacere quando si reca in una nuova destinazione.

Alla fine, commenta Ripsy Bandourian di Booking.com Business, i risultati dello studio dimostrano come a livello internazionale ben il 49% dei viaggiatori business abbia volontà di estendere il soggiorno per motivi di piacere, ribadendo quanto le aziende europee tendano a sottovalutare l’impatto del viaggio, che invece può essere ben più spesso sfruttato per poter migliorare le motivazioni dei dipendenti. “Il bisogno di flessibilità dovrebbe riflettersi anche nei regolamenti aziendali, contemplando nuove mete, l’uso di tecnologia e app per ottimizzare l’esperienza di viaggio dei propri dipendenti o provando nuove tipologie di struttura, come ville o alloggi in famiglia. Se il dipendente ha la libertà di pianificare, prenotare e gestire il proprio itinerario, l’azienda ne beneficia in termini di soddisfazione” – commenta ancora Ripsy Bandourian.

Viaggio di lavoro e smart working

In questo contesto, è altresì evidente come molto stia cambiando con l’avvento dello smart working che, se da una parte ha ridotto i viaggi di lavoro tradizionalmente intesi (molti degli eventi che prima erano organizzati in presenza possono essere comodamente svolti da casa propria o dal proprio ufficio) ha introdotto una figura nuova, quella dei lavoratori nomadi digitali, in grado di esercitare la propria professione ovunque si trovino.

Una figura professionale che nel corso degli anni accrescerà ulteriormente la propria importanza e che, probabilmente, diventerà molto meno eccezionale di quanto oggi si possa pensare. Di qui, la necessità di riconsiderare il concetto stesso di viaggio di lavoro, in un’ottica di maggiore contemporaneità.

Voi che ne pensate di questo tema? Lavorate come nomadi digitali? Vi va di raccontarci la vostra esperienza?

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